Negli anni 60' si
assiste alla crisi della psicologia dell'educazione ispirata alla
learning theory.
Vi concorrono il
declino generale del comportamentismo, quello più specifico della
tradizione del condizionamento
operante e il sostanziale fallimento dei tentativi di applicare a
scuola i principi della
learning theory.
Nel tentativo di
rilanciare la psicologia dell'educazione diversi studiosi
svilupparono delle teorie.
Tra
questi troviamo Carl
Ramson Rogers (1902-1987)
,
che sulla base della teoria umanistico-esistenziale della personalità
e dell'esperienza della psicoterapia è
convinto che le persone vivono bene, rendono e lavorano bene se
vengono a trovarsi in un clima interpersonale facilitante,
che consente a ciascuno di esprimersi e affermarsi, integrandosi nella
realtà in modo che sia possibile per tutti l'auto-attualizzazione.
E così anche nello
studio a scuola; se c'è apprendimento significativo, se si
imparano cose che contano per la vita in un clima favorevole si sta
bene e si rende.
Altrimenti, quando
l'apprendimento è non-significativo e avviene in un clima ostile, i
risultati sono scadenti sia sul piano dell'istruzione sia della
formazione della persona.
Per Rogers sono gli
insegnanti che, con il loro intervento personale, devono farsi carico
di trasformare la
scuola.
L'ideale è lo
stile educativo non direttivo: il docente evita di imporre
contenuti, ritmi, compiti e non valuta
unilateralmente, ma contrattualmente.
In
seguito alle novità introdotte da Rogers, Jerome
Bruner si
è avvicinato ai problemi dell'educazione perché impegnato nella
riforma dei programmi con cui il governo degli Stati Uniti tentò di
porre rimedio al degrado che stava divagando in molte scuole.
A
suo avviso è vero che la scuola deve formare alla vita, ma per
riuscire nella vita bisogna essere capaci di pensare adeguatamente,
di usare gli strumenti concettuali per trattare la complessità
ambientale e padroneggiarla.
Le grandi
discipline, come la matematica, la fisica, la storia, la letteratura
sono importanti non tanto per i contenuti specifici, quanto per i
modelli mentali, le logiche che implicano.
Lo strutturalismo di
Bruner prevede che, se si entra nell'ottica di sfruttare le discipline
per le strutture concettuali e le forme mentali che possono fornire,
possiamo realizza l'idea che “qualsiasi materia può essere
insegnata a chiunque, a qualsiasi età, in una forma che sia onesta”.
Bruner è contro il
nozionismo: la scuola deve insegnare a padroneggiare i modelli
mentali di tutte le discipline attraverso un procedimento a spirale,
dove ogni materia può essere può essere insegnata a chiunque a
qualsiasi età, in forma semplificata.
L'affermazione
della psicologia cognitiva ha modificato l'approccio alla psicologia
dell'educazione.
Sono ancora vive
correnti psicanalitiche, umanistiche, neopiagetiane e di altro genere, che danno l'impressione
di dispersione e grande libertà di vedute, ma si tratta di movimenti
di pensiero che,
seppure importanti, sono forti più che altro in ambito clinico e
che si collocano ai margini della
psicologia sperimentale.
Gli esponenti come
Rogers e Bruner, sono stati psicologi che, muovendo dalle loro competenze, hanno
analizzato l'attività educativa e avanzato proposte di miglioramento
didattico.
Oggi
non si tende più a formulare concezioni globali dell'educazione come
quelle di Rogers e Bruner,
ma si preferisce prendere in esame problemi specifici e cercare
risposte adeguate.
La psicologia
cognitiva ritiene che il mondo dell’educazione non è un settore di
applicazione, ma è una realtà da capire e descrivere e quindi non
viene più considerata solo il lavoro dello studente, ma anche la
situazione reale e le sue componenti che sono: caratteristiche
dell’allievo, prove di valutazione, materiali didattici e attività
di studio. La psicologia cognitiva inoltre prende in esame i problemi
specifici, perché astrazioni troppo ampie rischiano di non poter
avere un riscontro empirico e di non essere scientifiche.
Gli oggetti di
studio della psicologia cognitiva sono le attività mentali, le
motivazioni, le emozioni, i sentimenti, i comportamenti delle persone
nei contesti di vita in cui si fa educazione e viene considerata
anche la dimensione affettiva e sociale dell’esperienza scolastica.